Il Primo Maggio nasce nell’Ottocento come rivendicazione mondiale della giornata lavorativa di otto ore.
La decisione di dedicare a questa fondamentale rivendicazione, che era già al centro delle lotte dei lavoratori, una giornata internazionale, con manifestazioni simultanee nello stesso giorno, in tutte le nazioni e in tutte le città, fu presa nel 1889 dal Congresso di Parigi della Seconda Internazionale.
Una manifestazione analoga era stata già decisa dall’America Federation of Labour. Negli anni immediatamente precedenti, infatti, negli Stati Uniti c’erano stati scioperi, mobilitazioni e manifestazioni dei lavoratori per la giornata lavorativa di otto ore, duramente repressi nel sangue.
Due anni dopo, il Primo Maggio divenne un appuntamento permanente: la festa dei lavoratori di tutti i Paesi.
Altri temi si aggiungeranno via via: dal salario al lavoro minorile e femminile, alle assicurazioni sociali…
All’aspetto più rivendicativo, si accompagnava quell’orgoglio del lavoro e quell’orgoglio di classe, che ha caratterizzato le lotte operaie e contadine, soprattutto tra Ottocento e Novecento. Contemporaneamente, le dimostrazioni avevano spesso un carattere pacifico e festoso: cortei, comizi, manifesti e volantini, ma anche scampagnate, bicchierate, canti, musica e balli, proprio perché uno dei significati della giornata era rivendicare tempo da dedicare alla famiglia e agli svaghi.
Il Primo Maggio trova quindi nel binomio giornata di festa/giornata di lotta una delle sue caratteristiche identitarie, soprattutto fino al Secondo Dopoguerra.
I Governi dei diversi Paesi vietarono da subito le manifestazioni e le repressero con brutalità. Molte furono le vittime innocenti.
Anche in Italia il divieto fu fatto valere da subito con particolare ottusità e rigore. Alla fine dell’Ottocento, ad esempio, il Ministro dell’Interno dava rigide disposizioni sul divieto di suonare, cantare o anche solo fischiare l’Inno dei lavoratori di Filippo Turati, con la precisazione che “ove si canti in pubblico non deve tralasciarsi di procedere all’arresto dei colpevoli”. E, ancora, in un documento firmato dal Questore di Napoli in data 29 aprile 1890 si legge: “Per il prossimo 1° maggio 1890 le riunioni pubbliche, le processioni civili (…) e gli assembramenti in luogo pubblico ed aperto al pubblico sono per ragioni di ordine pubblico rigorosamente vietati”.
Divieti e repressione non impedirono comunque che il Primo Maggio fosse sempre tenacemente festeggiato in Italia dalla fine dell’Ottocento all’avvento del fascismo, che vietò ogni manifestazione e spostò la festa del lavoro al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma, snaturando il suo significato.
All’indomani della Liberazione, poi, nel 1946, il Primo Maggio venne riconosciuto Festa del lavoro (in quello stesso anno venne eletta e cominciò a riunirsi l’Assemblea Costituente che scriverà la nostra Costituzione in cui si sancisce il lavoro quale fondamento dello Stato repubblicano). Ma le stragi purtroppo non finirono. Ricordiamo che nel 1947, proprio in occasione della Festa dei lavoratori ci fu l’eccidio di Portella della Ginestra.
La storia del Primo Maggio si intreccia quindi strettamente con la storia delle conquiste dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. E mette in evidenza il coraggio e la speranza, le sofferenze e i sacrifici (anche della stessa vita) che sono stati necessari per arrivare all’attuale sistema di diritti e protezione sociale, che oggi in molti vogliono ridurre e stravolgere.
In un mondo completamente mutato, molti si interrogano sul senso di continuare a celebrare il Primo Maggio. Per il sindacato confederale, per la Uil, per la Uilp è un appuntamento ancora attuale. Vuol dire conservare il ricordo delle nostre radici e trasmettere il suo sempre valido messaggio di libertà, di lotta contro le disuguaglianze, di rivendicazione del valore del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Vuol dire confermare le ragioni di fondo che hanno portato a festeggiare per oltre un secolo questa giornata in tutto il mondo. Molti diritti sono stati conquistati, ma molti sono oggi messi in discussione. Ed esistono tante situazioni di sfruttamento, vecchio e nuovo, e di diritti negati.
Primo Maggio oggi vuol dire mobilitarsi per i diritti e per lo stato di diritto; per l’equità sociale; per la equa distribuzione della ricchezza prodotta; per il contrasto alla precarietà e alla povertà; per dare voce a chi il lavoro ce l’ha, a chi l’ha perso, a chi lo cerca, a chi è in pensione dopo aver lavorato tanti anni; per rimettere il lavoro, un lavoro dignitoso e pagato il giusto, al centro delle politiche del nostro Paese.